Damien Gatinel e Cosimo Mazzotta si confrontano sull’origine del cheratocono
Dalla parte del sì: Damien Gatinel difende la teoria “no rub, no cone”
Con la teoria “no rub, no cone” sostengo, a differenza di ciò che vuole la teoria classica, che uno sfregamento eccessivo dell’occhio è una causa fondamentale nell’origine del cheratocono. I dogmi per ora accettati affermano che il cheratocono è una condizione multifattoriale i cui meccanismi rimangono ancora da chiarire a pieno, e lo sfregamento degli occhi è considerato un mero fattore di rischio.
A mio giudizio, oltre ad essere un grave errore, questo è anche il classico esempio di come una causa venga confusa con un fattore di correlazione.
Innanzitutto, è importante riconoscere che ripetuti episodi di sfregamento degli occhi hanno sulla cornea un effetto traumatico che da solo può generare la deformazione e l’assottigliamento caratteristici della malattia.
Trovo tuttavia curioso il fatto che nessuno abbia mai davvero escluso la possibilità che il cheratocono sia una patologia di origine traumatica, nonostante negli studi epidemiologici lo sfregamento sia sempre citato come semplice “fattore di rischio” .
Tuttavia, se si considera lo sfregamento come mero fattore di rischio, bisogna tenere a mente che esso è decisamente diverso da un’allergia o un’atopia: la loro azione sulla cornea è meno diretta e a dire il vero allergia e atopia possono essere considerate come fattori di rischio proprio per lo sfregamento dell’occhio, piuttosto che per lo sviluppo e la progressione del cheratocono.
Il presupposto che una cornea con difetto congenito nella biomeccanica possa deformarsi secondo le modalità osservate nel cheratocono è invalidato dal modello clinico della Sindrome di Marfan. Si è osservato come nella progressione di questa malattia, anche se la cornea è indebolita nella sua struttura proteica, essa rimane uniformemente sottile. Ciò accade in concomitanza all’appiattimento (e non alla protrusione) della parete corneale, per un meccanismo di distensione causato dalla pressione intraoculare differenziale.
La componente infiammatoria del cheratocono non entra in contrasto con la teoria “no rub, no cone”. L’infiammazione può essere infatti sia origine che conseguenza dello sfregamento. Uno studio ha dimostrato che sfregare l’occhio anche per soli 30 secondi genera il rilascio di numerose molecole proinfiammatorie e collagenasi. Tuttavia, le patologie infiammatorie della cornea da sole non generano una protrusione e assottigliamento corneale, ma piuttosto appiattimento.
La predisposizione genetica non basta a spiegare la natura locale e asimmetrica del cheratocono, e un attento e meticoloso colloquio con i pazienti è spesso rivelatore di una chiara connessione tra la deformazione corneale e lo sfregamento degli occhi. Per fare un esempio, nel caso di un cheratocono unilaterale e asimmetrico, molto spesso emerge che il paziente ha l’abitudine di sfregare solamente o prevalentemente l’occhio più colpito. Per inciso, abbiamo potuto osservare un’interessante correlazione tra l’occhio con cheratocono e l’abitudine a dormire sul fianco corrispondente, esercitando una compressione prolungata sul cuscino o sull’avambraccio.
La teoria “no rub, no cone” è in grado di spiegare l’ampio spettro che va dalle cornee normali a quelle deformate e sottili, in cui le alterazioni osservate dipendono, da un lato, dalle variazioni in termini di frequenza, durata e intensità dello sfregamento, e dall’altro dalla resistenza congenita della cornea stessa. In questo ci è utile l’esempio dell’eritema solare: l’intensità dell’eritema deriva sia dal tipo di pelle, il cosiddetto fototipo, sia dall’intensità dei raggi UV e dal tempo di esposizione ad essi. Parlando di sfregamento degli occhi e cheratocono, la situazione non è dissimile. Un “cheratotipo” in cui la cornea è sottile e l’occhio viene sfregato eccessivamente e con grande intensità è maggiormente a rischio di sviluppare una deformazione plastica permanente.
Vi sono aree del mondo in cui il cheratocono è più diffuso, fenomeno che possiamo facilmente spiegare con la teoria “no rub, no cone”. Queste regioni, in cui fattori climatici e ambientali (siccità, vento, luce solare) possono provocare un danno cronico della superficie oculare, sono popolate da gruppi etnici nei quali la cornea è geneticamente più sottile. Sappiamo che lo spessore della cornea è regolato a livello genetico, e sappiamo pure che le forme non sporadiche del cheratocono sono rare. Le forme familiari rappresentano infatti solo il 10%. Ciò che mette più in crisi la teoria classica è la predominanza schiacciante delle forme sporadiche, come viene evidenziato dalla stessa realtà clinica della patologia.
La mia esperienza riflette bene la teoria “no rub, no cone”: quando uno solo di due fratelli mostra segni di cheratocono è proprio perché, tra i due, è lui il fratello che si sfrega di più gli occhi.
Un altro chiodo sulla bara della teoria classica è lo studio delle variazioni nell’area della superficie corneale anteriore e posteriore nell’evolversi del cheratocono. Se, come molti sostengono, il cheratocono fosse un’ectasia, dovrebbe esserci un marcato incremento dell’area totale delle superfici corneali, misurabile man mano che il cheratocono progredisce. Invece, dalle osservazioni che ho potuto effettuare su migliaia di cornee, ho concluso che l’area della superficie corneale negli occhi con cheratocono non differisce significativamente da quella delle cornee sane.
La deformazione corneale che si verifica nel corso del cheratocono non è un’ectasia ma una deformazione isometrica, con mantenimento della curvatura media. Infatti, l’assottigliamento locale e paracentrale risulta nell’indebolimento locale della curva corneale e nell’aumento della pendenza focale, a cui corrisponde un appiattimento periferico, nel contesto di una deformazione isometrica.
Dalle osservazioni, l’aumento della pendenza focale è solitamente localizzato nella zona paracentrale più bassa; ossia dove, secondo il fenomeno di Bell, nella fase di sfregamento le nocche della mano incontrano l’occhio e ruotano verso l’alto. Ciò spiega anche la prevalenza dell’astigmatismo inverso o obliquo in occhi con cheratocono. Per quanto riguarda la natura dello sfregamento, ho compreso nella mia esperienza che è bene fare un’approfondita ricerca parlando direttamente con il paziente affetto da cheratocono, o con chi eventualmente lo accompagna. Bisogna osservare la forma delle mani, delle nocche, delle dita, ma anche l’abitudine, l’intensità e la distanza nel tempo dello sfregamento. Bisogna sensibilizzare il paziente e prepararsi all’eventualità che possa essere anche restio ad accettare il fatto di essere egli stesso la causa della sua malattia. Per questo è necessario agire con il dovuto tatto e una buona dose di empatia.
Qualsiasi sia la modalità dello sfregamento da parte del paziente, questo precede sempre l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi di cheratocono. Questo ci dimostra a pieno la causalità dello sfregamento.
Nel 1965 l’epidemiologo britannico Bradford Hill stabilì nove criteri di causalità che consistono in condizioni minime per dare la prova adeguata di una relazione causale tra due eventi. La teoria “no rub, no cone” soddisfa questi criteri, incluso quello cronologico, per cui la causa precede gli effetti. Un altro di questi criteri, quello di reversibilità, diventa cruciale: esso postula che eliminare la causa di un determinato fenomeno ne può causare l’arresto. L’idea di eliminare dal mondo l’abitudine a sfregare gli occhi è decisamente un’utopia, anche se, dal mio punto di vista, sarebbe sufficiente per debellare il quadro clinico del cheratocono.
Ciò è supportato da uno studio condotto presso la Fondazione Rothschild, in cui nei pazienti che hanno smesso di sfregarsi gli occhi e hanno cambiato posizione durante il sonno, è stato registrato un arresto nella progressione del cheratocono. Questa è un’ulteriore e sorprendente conferma della teoria “no rub, no cone” e ci apre la strada verso dei trattamenti sempre meno invasivi, facendo eco ad un appello per tutti a ripensare al cheratocono e ai metodi per fermarne l’evoluzione, e addirittura, debellare del tutto questa malattia. Il tutto con una semplice e unica azione: smettere di sfregarsi gli occhi!
RIFERIMENTI: – Moran S, Gomez L, Zuber K, Gatinel D. A Case-Control Study of Keratoconus Risk Factors. Cornea. 2020;39(6):697-701. doi:10.1097/ ICO.0000000000002283 – Gatinel D, Galvis V, Tello A, et al. Obstructive Sleep Apnea-Hypopnea Syndrome and Keratoconus: An Epiphenomenon Related to Sleep Position?. Cornea. 2020;39(4):e11. doi:10.1097/ ICO.0000000000002219 – Mazharian A, Panthier C, Courtin R, et al. Incorrect sleeping position and eye rubbing in patients with unilateral or highly asymmetric keratoconus: a case-control study [published online ahead of print, 2020 Jun 10]. Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol. 2020;10.1007/s00417-020- 04771-z. doi:10.1007/s00417- 020-04771-z
“No rub, no cone, ma solo per i soggetti predisposti”. Il rilancio di Cosimo Mazzotta
Dobbiamo riconoscere il fatto che lo sfregamento degli occhi, o eye rubbing, è un meccanismo di stimolo per l’insorgenza del cheratocono. Questa pratica può essere primaria o secondaria. Nel primo caso parliamo di uno sfregamento degli occhi non sporadico, ma ripetuto e continuativo nel tempo, che può avere radici di natura psicologica o psicogena. Per esempio, nei ragazzi affetti da Sindrome di Down il cheratocono ha una prevalenza del 15%. Alla fonte ci sono certamente fattori genetici, ma può succedere che in vario grado questi ragazzi si strofinino gli occhi in maniera ripetuta e continuativa. Questa è una caratteristica forma di sfregamento degli occhi psicogeno. Ci sono poi forme di sfregamento secondario, che sono tra le più frequenti e che in realtà sono collegate a fenomeni di natura generalmente allergica, o comunque al prurito e al fastidio oculare, ad una sensazione di corpo estraneo, alla secchezza oculare, all’uso di lenti a contatto.
Dunque, il Dottor Gatinel ha perfettamente ragione, se pensiamo che già il Professor Charles McMonnies aveva ben chiarito i vari meccanismi fisiopatologici dello sfregamento oculare e ci sono anche diversi studi sulla correlazione tra sviluppo del cheratocono e lo sfregamento intenso, visto non come causa, ma come fattore di rischio che può concorrere alla sua patogenesi.
Ciò significa che non è un fattore eziologico in senso stretto, ma può contribuire al manifestarsi del cheratocono in soggetti geneticamente affetti da una anomalia del collagene corneale, che spesso è un’anomalia di tutto l’organismo.
Non è raro infatti riscontrare in questi soggetti un prolasso della mitrale oppure una lassità dei legamenti articolari, una iperelasticità cutanea, o una sindrome delle palpebre lasse chiamata anche floppy eyelid syndrome. Una collagenopatia porta ad una fragilità e ad una iperelasticità del collagene e può associarsi a meccanismi di sfregamento degli occhi intenso e continuativo.
In tutti questi casi si parla comunque di eye rubbing patologico che, come abbiamo detto, può trovare radici psicogene o più spesso flogistiche, o addirittura croniche come nelle forme di occhio secco cronico, o di allergia severa, nella cheratocongiuntivite vernal (vernal keratoconjunctivitis), nelle forme di atopia, quindi congiuntivite atopica spesso associata a blefariti croniche. Ad esempio, la blefarite è molto frequente nei pazienti con cheratocono e causa molto spesso delle infiammazioni croniche della superficie oculare a cui consegue lo sfregamento.
Più del 50% dei pazienti che si sfregano gli occhi nel cheratocono sono giovani affetti da una qualche forma di infiammazione cronica della superficie oculare.
Quando parliamo di infiammazione cronica facciamo riferimento ad una situazione in cui c’è un aumento delle citochine infiammatorie, ovvero dell’interleuchina 1, delle TNFα, e di tutta una serie di mediatori dell’infiammazione. Viene riportato anche un meccanismo di degranulazione dei mastociti dovuta alla spremitura delle cellule epiteliali della congiuntiva che facilitano il rilascio di istamina, che è un fattore dell’infiammazione e dell’allergia. A questo si aggiunge un meccanismo di sbilanciamento ormonale enzimatico che comporta un deficit degli inibitori delle metalloproteinasi.
In uno studio pubblicato in Eye and Contact Lens ho dimostrato che nei pazienti allergici che si sfregano gli occhi la progressione del cheratocono raddoppia sia dal punto di vista del grado di incurvamento della corna, sia da quello della velocità di progressione rispetto ad un gruppo di soggetti della stessa età e dello stesso sesso aventi lo stesso stadio di cheratocono. Questo conferma che esiste una correlazione tra sfregamento e progressione o sviluppo della malattia. Tuttavia questo si verifica necessariamente in soggetti con situazione predisponente che affondano le radici nella genetica. Sono stati descritti oltre 80 loci genetici mutati nel cheratocono e sappiamo che se in un soggetto non vi è un’alterazione del collagene, il cheratocono non si svilupperà malgrado lo sfregamento degli occhi, anche se protratto nel tempo.
Io accolgo positivamente l’affermazione del Dottor Gatinel, che intendo essere una provocazione e un allarme che necessariamente deve essere lanciato ai pazienti nella fase della visita oculistica e deve essere lanciato alle famiglie perché spesso si tratta di soggetti minori, molto giovani, che devono essere educati a non strofinare gli occhi.
In sintesi, gli aspetti flogistici cronici e la predisposizione genetica rappresentano un terreno fertile in cui lo sfregamento degli occhi diventa fattore scatenante di una forma latente di debolezza geneticamente determinata o aggravata da fenomeni infiammatori cronici, aumentando la velocità di progressione della malattia. Al contrario, i soggetti non predisposti che non hanno nessuna alterazione del collagene dal punto di vista genetico e non presentano nessun tipo di infiammazione cronica di natura allergica o immunomediata non sviluppano il cheratocono. Se così non fosse, tutte le persone che si sfregano gli occhi svilupperebbero un cheratocono, e questo non avviene.
Possiamo quindi assolutamente affermare che “rub = cone” non è un’equazione, come non lo è il contrario, ossia “no rub, no cone”. Tuttavia, “no rub, no cone” è un’affermazione applicabile ai soggetti predisposti, che se evitano questa condotta anomala possono salvarsi dallo sviluppare la malattia o possono eventualmente sviluppare una malattia meno aggressiva.
RIFERIMENTI: – McMonnies CW. Abnormal rubbing and keratectasia. Eye Contact Lens. 2007;33(6 Pt 1):265-271. doi:10.1097/ICL. 0b013e31814fb64b – Mazzotta C, Traversi C, Mellace P, et al. Keratoconus Progression in Patients With Allergy and Elevated Surface Matrix Metalloproteinase 9 Point-of-Care Test. Eye Contact Lens. 2018;44 Suppl 2:S48-S53. doi:10.1097/ ICL.0000000000000432